ERA BELLO PENSARE


Gigino A Pellegrini & G el Tarik – Riflessioni di un ex giovane calabrese di belle speranze. Ciò che è mancato a lui e ad una intera generazione è stata una giusta valutazione della dialettica per quel fondo della propria formazione basata prevalentemente sul dato “scientifico” (così si diceva) che induceva a vedere il mondo e la vita su di un piano di sviluppo razionale quando la realtà della vita sociale e della “lotta rivoluzionaria” metteva loro spesso davanti ad un mondo che obbediva in buona parte a spinte di irrazionalità. La metodologia basata sul dato “rigorosamente” razionale, proprio della scienza, non sempre corrispondeva con la metodologia basata sulla dialettica che era movimento e contraddizione e questo, non è stato di poco conto. Una frase di Togliatti mise fine al partito comunista rivoluzionario: “ La via democratica al potere”, con la “conta dei voti” come simbolo del metodo liberal democratico che legittima l’esistenza della maggioranza e della minoranza. E qui si entra nelle pieghe di un dramma psico-politico che ha avuto come sua componente la paura, anche e soprattutto fisica, di una rottura con quel passato di esperienza nella quale tutta una generazione aveva sviluppato con la propria coscienza, prima ancora che con l’intelligenza e creatività, il concepimento delle classi sociali. Chiaramente non una classe sociale intesa come processo produttivo cristallizzato, di un grande numero di individui. Sarebbe stato troppo riduttivo. Il concetto di classe sociale come un’immagine dinamica. Quando si avvertiva una tendenza sociale, un movimento per date finalità, allora era possibile riconoscere l’esistenza di una classe nel senso “vero” del termine. Si scopriva, così, che un movimento rivoluzionario poteva esistere se vi era una dottrina ed un metodo di azione. Un movimento divenne anche una scuola di pensiero politico e quindi un’organizzazione di lotta. Il primo era un fatto di coscienza, il secondo era un fatto di volontà, più precisamente di tendenza ad una finalità. Bastava ricordare che, se la coscienza degli uomini era il risultato e non la causa delle caratteristiche dell’ambiente in cui erano costretti a muoversi, la regola non sarebbe stata mai che lo sfruttato, l’affamato, il denutrito, potesse capacitarsi che avrebbe dovuto rovesciare e sostituire lo sfruttatore ben pasciuto e ferrato di ogni risorsa e capacità. La democrazia elettiva borghese correva incontro alla consultazione delle masse, perché sapeva che la maggioranza avrebbe sempre risposto a favore della classe privilegiata, delegando ad essa volontariamente il “diritto” a governare, e a perpetuare lo sfruttamento. Se di questa verità si fosse cercata conferma in Calabria, ne avrebbero trovate una infinità. Bastava ricordare che era luogo comune squisitamente borghese contrapporre il “buon senso” della massa ai “tormentati” di una “minoranza di sobillatori”. La Calabria è come allora l’ultima regione d’Europa, governata da famiglie politiche e delinquenziali che a volte celebrano matrimoni; segue prole. L’informazione in Calabria assomiglia molto ai bunker americani anti atomici; ça va sans dire che il corpo del dissenso è invisibile. In rete il giudizio critico ha scarso seguito e la denuncia sociale dura due ore, la vita di un post su Facebook. Poi l’esistenza riprende il proprio viaggio nell’incertezza, nella precarietà, nella meschinità e umiliazione morale e politica. Il quadro è più che chiaro , ovvio: il dominio politico-delinquenziale dell’economia e dei settori pubblici impedisce ogni forma di sviluppo, per cui lavoro e produzione, impresa privata e crescita sociale sono impossibili. L’emigrazione aumenta, malgrado regga il dato degli abitanti, falsato dalla residenza, elemento formale. Si risiede in Calabria ma non ci si vive. In Calabria 1/3 degli studenti iscritti all’università è fuori regione. Ci si iscrive in Facoltà universitarie prestigiose per poi “ambire” a qualche cattedruccia di qualche sperduta scuola media e forse in qualche liceo. Insegnare una lingua straniera, matematica, disegno o musica. Questi fatti non contano: non li considerano i consiglieri regionali, il presidente della giunta, i rappresentanti nazionali, il governo centrale e gli stessi emigrati. Da almeno un decennio c’è in atto una diaspora impressionante quanto inavvertita in Calabria, un abbandono silenzioso che genera ulteriore rassegnazione e il dogma che nulla cambierà. Amen!

Chi son li due tapini

che fumman come man bagnate ’l verno,

giacendo stretti a’ tuoi destri confini?.

L’una è la falsa ch’accusò Gioseppo;

l’altr’è ’l falso Sinon greco di Troia:

per febbre aguta gittan tanto leppo”.

Così Dante descrive nel Canto XXX dell’Inferno la sorte di due “falsari”, la moglie di Putifarre e Sinone. Sinone è quello che convinse i Troiani raccontando un sacco di panzane che quelli si bevvero come acqua fresca e fecero entrare il cavallo di legno, dentro cui si erano nascosti gli Achei che così presero la città.

Gigino A Pellegrini & G el Tarik

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